IL
TORTELLINO TRA IERI E OGGI
Non
ci sono più i sapori di un tempo.
Un’affermazione
che fa il paio con “Qui una volta era tutta campagna.” Due
proposizioni secondo le quali tutto quello che c’era prima è
meglio di quel che c’è adesso.
Il
che è vero e falso insieme. Quel che i cibi perdono in genuinità e in
sapore lo acquistano in igiene e in dieteticità.
Anche
il tortellino deve fare i conti coi tempi. Con quel che c’è di nuovo, e
non c’è più di antico. A partire dalla mitica “rezdora”, la
reggitrice, che governava la casa con pugno di ferro e dita di velluto,
con le quali tirava la sfoglia e confezionava dozzine di tortellini.
L’uso
dell’imperfetto sarebbe più adatto ai tortellini di oggi, preparati da
una macchina che li scodella tutti uguali depositandoli su un asettico
nastro trasportatore.
Ma
a domanda è sempre la stessa: è nato prima il nuovo, o la gallina?
Le “sfogline” (le donne che tirano la pasta) non esistono più perché
ormai c’è la produzione industriale, o è tutto il contrario: il
tortellino fatto a macchina esiste perché è scomparso quello fatto in
casa, dal momento che in casa la donna ci sta sempre di meno?
E’
inutile gridare al loop: è un circolo vizioso che come tale si
autoalimenta, purtroppo però coi tortellini industriali.
Che
pure hanno i loro vantaggi: essendo sempre più rare le persone che li
fanno a mano, dove potremmo mai trovarne, e quanto dovremmo pagarli?
Senza
contare che l’igiene è certamente maggiore rispetto a un tempo.
Va
anche detto che è cambiata la fruizione di certi cibi. E del cibo in
generale. Fino a meno di 50 anni fa, mangiare voleva dire sfamarsi. Nel
senso letterale di cavarsi la fame, mettendosi in corpo quante più
calorie si poteva, ad ogni occasione.
Una
civiltà contadina come la nostra viveva delle bizze della natura, che ne
ha sempre fatte, anche quando non c’era il buco nell’ozono:
allora poi non esisteva il meteo, la cassa mutua, le assicurazioni e
quant’altro.
Nelle
nostre campagne la fame era insomma pane quotidiano. E il lavoro era
davvero bestiale. Chi lavorava nei campi non aveva orario, e chi ce
l’aveva (i pochi che lavoravano in fabbrica) non facevano altro che
lavorare. Il cibo che assumevano doveva perciò essere più che calorico.
Detto
questo, si comprende come il brodo di cappone, e i tortellini che ci
si sposano benissimo, erano perfetti per reintegrare le calorie in
difetto, e venivano comunque smaltiti fin troppo presto con il
lavoro del giorno successivo.
Oggi
che si mangia per gola, per combattere lo stress, o per abitudine,
in più con l’incubo del ventre piatto, un piatto di tortellini in brodo
come quelli di una volta sarebbe considerato una vera e propria bomba
calorica.
In
poche parole, se il tortellino è diventato quello che è: un dignitoso
prodotto globalizzato, è perché noi siamo diventati quello che siamo.
Questo senza voler dare alcun giudizio morale.
Non
era meglio ieri, e non è meglio oggi: il tortellino (come tutto, del
resto) è figlio della cultura del proprio tempo.
Il
che non vuol dire che si debba rinnegare il passato: quel che è
stato e stato, ma può esserlo ancora. Semel in anno, o giù di lì.
A
Natale ci si può anche permettere un bel tortellino fatto con tutti i
sentimenti. Le pezze d’appoggio ci sono: fa freddo, e qualche caloria in
più non guasta.
Ma
dove prenderli, quelli buoni? Anche volendo, sono in pochi quelli che li
fanno bene. Bisogna scovare un posto dove li sanno fare. E conservarli
poi nel freezer, avvolti dentro normalissimi sacchetti per alimentari. In
cui si conservano benissimo per almeno due-tre mesi.
|